Il furto della macchina
Portar via una copia delle chiavi non fu un problema. Aspettammo che facesse buio. Mio padre era già a letto, dovendosi alzare presto la mattina.
Era una sera buia e tempestosa. Da qualche parte era sicuramente in corso un temporale, ma noi non temevamo nulla, grazie alla nostra giovane età.
Naturalmente avevamo anche oliato la porta ribaltabile del garage. L’aprimmo e ci apparve in tutta la sua magnificenza l’agognato mezzo meccanico.
Aprii la portiera ed abbassai il vetro. Due amici si misero a spingere mentre un altro tentava di tirare ed io manovravo il volante attraverso il finestrino, stando all’esterno dell’abitacolo.
Eravamo praticamente già fuori dal box, quando inavvertitamente mi scappò il braccio.
POOO!!!, strillò il claxon.
Ci gelò il sangue. Fu solo un attimo e subito il silenzio piombò attorno a noi.
Probabilmente migliorammo il record mondiale di apnea di gruppo. Passarono almeno cinque lunghissimi minuti. Il sangue non ce la fece più, ritornò a scorrere e noi decidemmo a gesti, all’unanimità, che il pericolo era cessato e che fortunatamente nessuno si era accorto di nulla.
Il resto successe tutto in una frazione di secondo.
Si aprì la finestra della camera da letto al terzo piano, si affacciò mio padre, non fece in tempo ad aprire la bocca e scoppiò un fulmine.
Il cielo e la terra si illuminarono a giorno per un interminabile secondo e noi avemmo la terribile visione di uno Zeus furente, con il braccio alzato, in grado di scagliare a suo piacimento saette su di noi, poveri mortali. Seguì un tuono spaventoso.
Evidentemente anche mio padre si spaventò, per cui gli uscì di bocca un urlo strozzato e sovrumano: «DISGRAZIATI!!! Posate subito quella macchina!»
Ci scordammo all’istante le bellissime ragazze che popolavano il vicino paese. Spingemmo all’interno la macchina senza più suonare il claxon e ci ritirammo nelle nostre case, in buon ordine.
Da allora, lo giuro, non ho più rubato macchine, almeno per ora.
(Rif. Pagina 32)
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La nostra prima uscita da soli
………era il nostro ventesimo anniversario di nozze, Francesca aveva quasi diciotto anni e Carlo undici.
Sono stati loro a forzarci ad uscire da soli, la prima volta.
E così, a malincuore, siamo andati a festeggiare, al ristorante.
Era un locale speciale. Al posto dei tavolini, erano apparecchiate vecchie macchine da cucire ormai dismesse. Ottimo esempio di riciclaggio, ed anche simpatico.
Si stava seduti di fronte, i “tavoli” erano molto ravvicinati, ma ciò poteva essere un vantaggio, trattandosi di un ristorante frequentato prevalentemente da coppiette.
Al nostro fianco vi era un’altra coppia, forse della nostra età. Erano più silenziosi e raccolti di noi che sembravamo allegri come due ragazzi in gita scolastica (o in fuga amorosa).
Ad un certo punto, mi venne lo sghiribizzo.
Mi rivolsi con fare serio a Pia: «Certo che tuo marito è proprio una brava persona!».
Lei capì al volo e rispose: «Beh, se è solo per questo, anche tua moglie è molto gentile».
I nostri vicini si ripresero dal loro torpore e drizzarono le orecchie.
Allora continuai: «A me personalmente è molto simpatico tuo marito. Ti dirò, a modo suo è pure carino e sono certo che piace molto alle donne».
«E no», riprese lei «tua moglie sì che è una bellissima donna come se ne vedono poche in giro».
«Sì, sì, sarà anche bella, non ne discuto, ma vuoi mettere l’intelligenza di tuo marito?»..
«Qui ti volevo; se pensi davvero che sia intelligente come dici, si vede che non lo conosci bene come me».
«Almeno non vorrai negare che è divertente e spiritoso».
I nostri vicini ormai si agitavano sulle sedie, come se non digerissero la cena o qualcos’altro.
………..
(Rif. Pagina 119)
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Il rientro dalla naia
La strada era lunga e, calata la notte, il freddo si faceva sentire. Le portiere controvento vantavano spifferi da infilarci la mano.
L’ingegno italico ci venne in soccorso. Infilammo nelle fessure i famosi panni gialli, quelli che si usavano per spolverare il cruscotto. Non essendo questo ancora sufficiente, io e Giorgio pensammo bene di tirar fuori dalle valigie i pigiami pesanti e li indossammo sopra i vestiti.
Arrivammo, la mattina, presso La Spezia.
Mi fermai ad un distributore di benzina con gli stracci gialli che garrivano al vento, richiamando l’attenzione dei presenti.
Scendemmo, io e Giorgio, sbadigliando e sgranchendoci gambe e braccia.
Vollero vedere i soldi, prima di darci la benzina.
Loro non avevano mai visto arrivare a fare rifornimento due strani tipi in pigiama da notte.
(Rif. Pagina 42)
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I calendari di fabbrica
Ne ebbi la riprova il giorno che entrammo insieme nell’ufficio del portiere. Il portiere in quel momento non c’era, ma sul muro campeggiava un bel calendario. Com’è obbligo morale per tutti i calendari di stabilimento, i giorni del mese erano riportati in caratteri praticamente invisibili, al solo scopo di non togliere spazio alla figura principale. Questa era logicamente una splendida ragazza, ma quasi del tutto privata di chissà quanti bei vestiti.
Il Signor Direttore andò dritto al calendario, scordandosi il motivo del nostro intervento. Si mise a fissarlo attentamente. Ci mise due lunghi minuti prima di osservare: «Guarda che occhi,…..non saprei, …mmmm,… hanno qualcosa di strano.» Girò la pagina del calendario. «Vedi, vedi, non ha gli occhi delle donne europee.» (Strano, mi stava dando del tu o parlava a sé stesso?)
Proprio non mi capacitavo come lui riuscisse a guardare la signorina negli occhi mentre io, forse a causa della mia giovane età, anche sforzandomi, proprio non ne ero capace. Ma il Direttore insisteva con lentezza esasperante a voltare le pagine. «Oh, sì, questi sono propri occhi orientali». Si aggiustava gli occhiali e insisteva: «Sarà coreana o giapponese, si vede benissimo dagli occhi.»
Non si accorse, il Signor Direttore, di aver sfogliato il calendario per troppe volte. Girò ancora ed apparve il cartoncino. Stranamente non era però del tutto bianco. C’era una scritta, tracciata con un pennarello rosso. La lesse ad alta voce, come fosse ancora in trance: «Che c--zo vuoi di più?»
Tossì e richiuse di botto
(Rif. Pagina 50)
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i figli
Il mestiere di genitori è uno dei più difficili e sicuramente il peggio pagato.
Nondimeno, la ricetta per crescere bene un figlio è semplice: occorre miscelare un 50% di amore, un 30 % di buon esempio, un 10% di ideali, un altro 10% di fiducia nel futuro e condire il tutto con una abbondante spolverata di buona fortuna.
La vera difficoltà, però, è la cottura a fuoco lento della durata di venticinque, trent’anni.
(Rif. Pagina 85)
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